Riportiamo le parole di Elia, primo anno università, lette alla manifestazione del 24 aprile ad Aosta. Buon 25 aprile.
“Cercherò di essere breve per lasciare spazio a persone ben più competenti e autorevoli di me. Mi sembra evidente che la DAD sia un qualcosa di alienante e assolutamente contrario a qualsiasi sano principio pedagogico. Sono venuto qui perché non vedo molti altri miei coetanei disposti a opporsi a un sistema mostruoso come quello che sta delineandosi.
La maggior parte dei giovani accetta la DAD come accetta di essere imbavagliata con una maschera e chiusa in casa, privata della propria giovinezza, nonché del futuro. Ora, risulta evidente che la DAD non sia che una parte del problema, altrimenti i giovani sarebbero tutti in piazza a protestare per tornare a scuola. Invece i più hanno un atteggiamento di totale passività, di indifferenza… conosco persino ragazzi contenti della didattica digitale. Questo è dovuto anche al fatto che la scuola che hanno conosciuto in passato non sia desiderabile.
La scuola era già malata. Io ripenso alla mia esperienza e ricordo quanti insegnanti assolutamente demotivati e inconsapevolmente complici del sistema abbia conosciuto, quanti insegnamenti sbagliati ci siano stati trasmessi. Fondamentalmente la scuola su cosa si basava? Su un sistema di rinforzi, positivi e negativi: ti ho dato 10 pagine da studiare, non le hai studiate, brutto voto (rinforzo negativo), le hai studiate, bel voto (rinforzo positivo); più semplicemente, il messaggio che arriva ai ragazzi è: ti ho dato un ordine, l’hai eseguito, premio, non l’hai eseguito, punizione. Il che potrebbe anche essere comprensibile: in fondo, la nostra identità si costruisce sui riconoscimenti e i misconoscimenti degli altri. Ma il problema è che la scuola, sempre di più, ha perso di vista l’educazione dei ragazzi, concentrandosi esclusivamente sulla valutazione della performance degli studenti; si è ridotta a una fabbrica di voti, unico obiettivo dell’esperienza scolastica, per cui conta poco o nulla ciò che non sia in qualche maniera valutabile, quantificabile.
Per questa ragione è andato scomparendo il tema libero, in favore di prove con una traccia prestabilita o dei “test”, magari persino a crocette, rapidi, semplici da correggere: giusto/sbagliato. E non si deve più avere a che fare con l’individualità dei ragazzi, che è quasi impossibile da valutare. Ricordo bene le parole di una mia insegnante del liceo. “voi non dovete rielaborare i concetti con parole vostre, dovete scrivere quello che vi dico io e ripeterlo all’interrogazione”. E in questo clima è normale che i ragazzi abbiano imparato l’obbedienza alla presenza del professore e a copiare o imbrogliare in qualsiasi modo in sua assenza, perché ciò che conta è ottenere un buon voto, non crescere.
Non c’è da stupirsi che oggi i giovani siano così propensi all’obbedienza e alla passività, educati a chinare il capo per sopravvivere e non a vivere. (Non credo che i giovani del ‘68 si sarebbero lasciati privare di ogni libertà solo perché “lo dice la TV”). Veniamo, dunque, alla DAD. Cos’è successo: a questo capolavoro di scuola è stato sottratto forse il maggior punto di forza, ovvero il contatto umano, lo scambio che comunque si poteva avere tra ragazzi e con gli insegnanti (con alcuni, perlomeno). Per cui non è rimasta che la valutazione e mentre questi ragazzi, più o meno grandi, si spengono uno dopo l’altro ci si preoccupa solo di marchiare questi cadaveri con voti assolutamente vuoti di senso e significato. Questo vale anche per noi studenti universitari.
L’esperienza universitaria non può ridursi a un periodico appuntamento in videochiamata per farsi dare un voto. Ora, noi non dobbiamo commettere l’errore di criticare la DAD sperando in un ritorno alla scuola di prima. Così come, in termini più generali non dobbiamo desiderare che si ponga fine alla follia di quest’ultimo anno per tornare al mondo di prima, poiché il mondo assurdo di oggi è frutto di quello di ieri. Guardate questi giovani, circondati da un sistema che li sta disumanizzando.
La depressione dilagante tra i ragazzi è il risultato dei diversi stimoli che ricevono, da una scuola che non li aiuta a crescere e un mondo in cui a farla da padroni sono i social network, che presentano loro come modelli, ad esempio, gli influencer, così che apprendano a vivere con superficialità e fare della propria ignoranza motivo di vanto, ad essere dei perfetti ingranaggi della macchina del consumismo. (a volte pensiamo che i social siano degli strumenti messi gentilmente a disposizione di tutti, di cui si può fare l’uso che si preferisce… gratuiti, persino! Quando una cosa è gratis, il prodotto sei tu). Dunque la scuola, i social, ma persino le famiglie! Un anno fa, al liceo, ho partecipato alla presentazione della scuola ai genitori dei futuri liceali. Ci siamo sentiti porre domande assurde: … Ormai è passata l’idea che anche la cultura si possa oggettificare che la scuola possa essere organizzata scientificamente, come la catena di montaggio di una fabbrica. Noi quindi dobbiamo opporci a questo, alla cultura della mercificazione degli individui.
Opporsi alla DAD è doveroso, ma non bisogna commettere l’errore di rimpiangere la scuola del passato spinti dal fatto che quella presente è mostruosa. E allo stesso modo non bisogna pregare di avere la scuola in presenza ma mascherati, distanziati, sottoposti a controllo continuo. Capite, è sempre lo stesso gioco: ti faccio stare due mesi in zona rossa, vedrai che rimpiangerai la zona gialla e del fatto che la libertà l’hai perduta da tempo neppure ti ricorderai più. Mi avvio a concludere rivolgendomi a quanti sostengono che la DAD sia necessaria a evitare contagi o salvare vite.
Vorrei ricordare che, oltre al fatto che la cosa non poggia su basi scientifiche, la distruzione della scuola a cui abbiamo assistito in questi anni, fino a giungere alla DAD, è stata voluta dalla stessa classe politica che ha distrutto il sistema sanitario e che da anni sputa indegnamente sull’istruzione e la sanità pubbliche. In un mondo in cui c’è chi ha un patrimonio di 900 miliardi e chi muore di fame, pensare che la classe dominante si preoccupi della salute di quanti tiene nella miseria è tristemente ingenuo. Ciò che stiamo vivendo non è una questione di salute, ma di controllo e il controllo si regge sulla paura, non sulla cultura. Per la paura di difendere la nostra libertà, stiamo svendendo la vita dei nostri figli”.